Una delle
ipotesi più interessanti, e a cui si auspica in futuro un più approfondito e valido studio, potrebbe essere quella della presenza, nel monastero degli Olivetani di
Nerviano, di una sala detta "De Profundis" che richiamerebbe per
analogia ed omonimia una sala presente nel senese Monastero di Monte Oliveto
Maggiore. Il nome rievoca l'incipit del salmo 129 (130) che nella liturgia cattolica, da
sempre, viene utilizzato per la commemorazione dei defunti.
Si tratta di un piccolo locale, anomalo rispetto a tutti gli altri ambienti
del monastero per fattezza e dimensioni. Esso è posizionato tra la chiesa e
probabilmente la sacrestia - o comunque quello che poteva essere il
locale più vicino all'edificio di culto. Attualmente è sede dell'ufficio di
direzione della Biblioteca comunale.
Lunetta raffigurante Cristo nell'iconografia dell'Ecce Homo Monastero degli Olivetani di Nerviano |
All'interno di questo locale è possibile ammirare due affreschi
significativi. Il primo è un volto di Cristo posto in una lunetta sopra la
porta d'ingresso. Tale rappresentazione è identificabile con l'iconografia
dell'Ecce Homo, un tema pittorico che ha avuto molta fortuna nel periodo
rinascimentale e dunque coevo agli anni più floridi della presenza cenobitica
in Nerviano. L'immagine ci presenta un Cristo sofferente e martoriato dai segni
delle percosse, incoronato di spine e, anche se l'affresco è mutilo, si
intravede un accenno di quello che doveva essere lo "scettro di
canna" citato nelle narrazioni evangeliche. Probabilmente nella sua integrità doveva essere ben visibile
anche il mezzo busto del Cristo avvolto da un mantello rosso. Questa simbologia
richiama inequivocabilmente il passo del Vangelo di Giovanni 19 nel quale sono
raccontati i momenti cruenti della flagellazione e dell'umiliazione pubblica
del Cristo ad opera del Governatore romano Ponzio Pilato: il Cristo infine,
rivestito per scherno degli emblemi regali viene presentato alla folla da
Pilato con la celebre frase: "Ecco l'uomo".
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Planimetria parziale del Monastero di Monte Oliveto Maggiore (Siena) Ben visibile a lato della chiesa la Sala "De Profundis" |
Questo affresco oltre a riportare visivamente i passi evangelici di
Giovanni, presenta tutti quegli aspetti spirituali della dimensione
cristologica concepita agli inizi del secolo XVI. Una dimensione inedita
rispetto alla visione trionfalistica alto medioevale e primitiva, dove
l'accento - anche nell'iconografia - era rivolto all'immagine del Cristo
risorto e benedicente, assiso e trionfante nella gloria celeste. Di riflesso
anche la visione dell'esistenza si orientava nell'immagine positiva dell'uomo,
creato ad immagine e somiglianza di Dio e quindi orientata più agli aspetti
trascendentali, teologici ed ideali della agostiniana perfezione divina. Il
male era inteso come privazione e separazione da questa perfezione, a cui
l'uomo doveva costantemente far fronte con l'esercizio della volontà,
attraverso la ricerca del bene interiore per mezzo della grazia e della fede.
Con la teologia tardo medioevale, che ha visto anche in diverse abbazie una
grande vivacità intellettuale e grandi dispute filosofiche, l'accento si sposta
sulla dimensione umana del Cristo, la quale si avvicina alla più evidente e
terrena concezione antropologica della sofferenza umana. "Dai
secoli XII-XIII in poi Gesù è sempre più il Cristo della Passione, della
Flagellazione, dell'oltraggio, della crocifissione, della pietà. Per uno
sconvolgente arrovesciamento delle immagini l'uomo che soffre per eccellenza è
ormai il Dio dell'Incarnazione, il Cristo. E l'immagine che emerge nel secolo
XV è quella di Gesù col mantello di porpora e la corona di spine della
derisione, come Pilato lo mostra alla folla, dicendo: "Ecce Homo". Quest'uomo di un momento eccezionale
della storia umana è ormai la figura simbolica dell'uomo sofferente, umiliato,
ma divino."[1]. Il male fisico dell'uomo si identifica nell'immagine stessa
del Cristo sofferente nella prospettiva del riscatto finale dato dalla
risurrezione.
Lunetta con affresco presso l'ipotetica Sala "De Profundis" Monastero degli Olivetani di Nerviano |
L'altra immagine presente in questa sala è bene visibile in una lunetta del
soffitto a volta. Pur non avendo al momento un'iconografia di riferimento, è
possibile ipotizzare che si possa trattare di una rappresentazione
allegorica del viaggio umano verso la Gerusalemme celeste. L'immagine
infatti è eloquente nei soggetti rappresentati: una città fortificata con le
sue mura, una strada tortuosa ed infine un monaco, con fagotto in spalla, che
si dirige verso l'ingresso della città.
Infine anche il medaglione circolare posto sopra la lunetta rievoca
l'immagine della fenice già rappresentata (e ben visibile ancora oggi) nella
prima cappella a sinistra della chiesa. Tale successione simbolica sembra
mettere in evidenza ancora una volta quell'ideale pellegrinaggio monastico
improntato sulla ricerca costante della contemplazione divina e che sin dal
principio - l'ingresso della chiesa è allegorico dell'iniziazione alla vita cristiana - è orientato alla rinascita ad una nuova vita.
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Planimetria - piano terra - Monastero Olivetani Nerviano Ipotesi collocazione Sala "De Profundis" |
Sia l'immagine del Cristo, sia quella del monaco viandante in cammino verso la
Gerusalemme celeste, sia quella della fenice, ci portano alla dimensione
marcatamente intimistica che in questa sala si respira. Sappiamo che
analogamente esiste ancora oggi presso il Monastero di Monte Maggiore una sala,
molto più grande ed estesa della nostra nervianese, dedicata alla veglia
funebre e al ricordo dei monaci defunti. È possibile che anche questa che ci si
presenta in Nerviano a suo tempo potesse essere legata alle pratiche esequiali
dei monaci defunti, ma anche di chi scelse (come ci è dato sapere), tra i privilegiati del tempo, di
trovare sepoltura tra queste mura. La posizione prospiciente ai sepolcri
presenti sotto la navata della chiesa sembra parimenti rimarcare una simbolica ultima sosta
prima di essere consegnati definitivamente alla terra.
Stefano
Delfi
da Appunti
sul Monastero degli Olivetani di Nerviano, 2019, Parresia, pp. 15-16
Foto:
Paolo Musazzi
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