lunedì 21 ottobre 2019

REGOLE DI INTERAZIONE CON IL GRUPPO PRO MEMORIA NERVIANO ATTRAVERSO I SOCIAL MEDIA


Il Gruppo Pro Memoria Nerviano ha recentemente aperto, a proprio nome, diverse pagine sui Social Media più popolari al fine di divulgare il proprio lavoro e le proprie ricerche ad un pubblico di varia natura: dal semplice appassionato, allo studioso che ha necessità di raccogliere informazioni per le proprie ricerche.
Pertanto le pagine ed i profili di Pro Memoria Nerviano hanno come unico scopo la divulgazione delle ricerche storiche, culturali ed artistiche riguardanti Nerviano ed avvenimenti e spazi ad esso connesso.
Poiché si tratta di un lavoro condotto con metodo e basato sulle fonti a disposizione, si considera il fruitore sufficientemente consapevole circa l’approccio che si deve tenere in queste circostanze. Vale a dire scevro da qualsiasi opinione personale legata a sentimenti ideologici, politici o di altra natura.
Consapevoli che i Social Media siano un utile mezzo di divulgazione, ma anche di confronto, riteniamo importante un eventuale apporto che può venire da terze parti, purché si rispettino i tempi e i modi della ricerca, e sempre nel rispetto delle parti e dei soggetti coinvolti.
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domenica 20 ottobre 2019

GASPARE COGLIATI: 1614-1684


Notizie biografiche
Un personaggio certamente rilevante per Nerviano del XVII secolo è senz’altro Gaspare Cogliati tanto che ancora oggi il suo nome è immortalato in una via a lui dedicata.
  Dai documenti presenti nell’archivio della Prepositurale di Santo Stefano risulta essere nato da MarcAntonio Cogliati e Caterina Prandona il 10 ottobre 1614. Non proveniva da famiglia nobile ma certamente benestante. Il padre MarcAntonio infatti, così come suo fratello Giuseppe Cogliati, sono indicati, negli Stati d’anime come fabbri ferrai alla Zancona; mentre un secondo MarcAntonio Cogliati dello stesso periodo, probabilmente cugino dell’omonimo, è indicato come molinaro. Di provenienza ignota la famiglia Cogliati compare nei registri nervianesi del 1574 con la famiglia del nonno Batta, già indicato come ferraro. Andando ancora più a ritroso nel tempo i Cogliati non compaiono invece nel registro del 1532 redatto per il censimento di ogni focolare circa la tassa sul sale imposta dagli spagnoli. 
La Croce Stazionale
nell'odierna collocazione
  Si può desumere pertanto che la famiglia Cogliati abbia fatto fortuna con il lavoro artigianale e il commercio dei manufatti in ferro. Infatti in una società come quella di allora, completamente rurale, avere un’attività legata alla costruzione di attrezzi per lavorare la terra come: zappe, falci, ferri per cavalli, ganci e catene per focolari, mozzi per carri, ecc. apriva alla possibilità di conquistare un discreto benessere e una posizione di rilievo nella società, nonostante il forte impatto sociale ed economico che ancora le famiglie aristocratiche e nobiliari avevano sul dominio del territorio.
  Già nello Stato d’anime del 1592 si rileva che nella famiglia di ”Marcus Antonius Coliatis, faber ferrararius alla Zaccona“ erano presenti una “serva Hieronima” e due “familius Bartolomeus et Andreas”, indice di uno status sociale da benestante.
  Dalla genealogia ricostruita della famiglia di MarcAntonio, seppure con date incomplete per mancanza di documenti, si rileva che Gaspare era penultimo di 7 figli, nato dalle seconde nozze paterne con Caterina; famiglia in qualche modo legata ai nobili Crivelli della Croce. Infatti i Cogliati dalla fine del 1500 fino alla metà 1600 risultano abitanti alla Zaccona nelle case dei Crivelli prima e di proprietà poi. Inoltre in diversi atti di battesimo dei Cogliati troviamo come “compadri” e “comadri” i nobili Crivelli e parimenti ai battesimi dei Crivelli si registra la presenza della famiglia Cogliati.
  Incrociando notizie tratte da atti di matrimonio di alcuni fratelli e sorelle di Gaspare risulta che il padre è già morto nel 1631 (all’età di circa 80 anni), mentre da altri documenti il MarcAntonio Cogliati (molinaro) è indicato, nel 1634, come consigliere della comunità di Nerviano, tra i dodici deputati dell’amministrazione degli affari del Comune, a conferma di un raggiunto rango sociale di una certa importanza.
Ricostruzione genealogica
della famiglia Cogliati
  I documenti a nostra disposizione non ci consentono di tracciare un quadro completo della sua vita, tuttavia è certo che ha assistito da giovane (15 o 16 anni) agli eventi catastrofici causati dalla peste del 1630. Dai documenti rinvenuti recentemente nell'archivio parrocchiale di Nerviano dedicati a quei giorni cruenti, sappiamo che la sua famiglia fu duramente messa alla prova: nel giro di 10 giorni, ben 7 parenti stretti perirono a causa del terribile morbo.
  Gaspare non risulta essersi sposato, ma a quanto pare fu attivo nella comunità. Persona pia e timorata di Dio, fece edificare un altare nella chiesa prepositurale. Inoltre sui registri lo troviamo spesso in qualità di testimone a molti matrimoni, anche dei nobili Crivelli.
  Nella memoria di Nerviano sono rimaste molte opere di bene, fatte dallo stesso sia per la comunità civile che per quella religiosa. Una generosità espressa anche e soprattutto nel suo testamento redatto probabilmente sul letto di morte. Morì nel 1684 all'età di 70 anni. Dal registro dei morti di quel tempo sappiamo che in “Die 16 Juny in die Depositioni Gaspari Coliati” venne celebrato il rito funebre “cum intervento 19 sacerdoti“, inoltre risulta esser stato tumulato nella chiesa di Santo Stefano col titolo di Messere in sepoltura propria.            
                                                              
Lasciti ed opere di beneficenza
Nel testamento di Gaspare Cogliati, rogato dal notaio G. Battista Castiglione il primo giugno 1684, vengono elencati lasciti e obblighi in favore della comunità di Nerviano.
  Dalle sue volontà, oltre a lasciti in denaro, di campi e di vigne, sono registrati censi a dote di due Cappellanie da lui fondate nel 1682 e rette da cappellani di sua nomina. È bene ricordare al lettore che la cappellania era un ente ecclesiastico istituito in seguito a donazione o lascito da parte di un fedele e le cui rendite venivano destinate al culto e che corrispondevano alla presenza di altari posti nelle varie chiese presenti sul territorio. Le cappelle a cui fa riferimento il lascito Cogliati sono quelle dei Santi Angeli Custodi - S. Stefano e dei Santi Re Magi. Nella dote della cappellania risulta inoltre una casa vicina alla Prepositura da dividersi come abitazione tra i due preti e la condizione di destinare parte della rendita alla creazione dello “Scolastico” destinato all’istruzione dei poveri figli della comunità di Nerviano. In ultima analisi, Gaspare Cogliati contribuì alla creazione della prima scuola gratuita nervianese che venne istituita qualche mese dopo la sua morte, il 18 gennaio 1685, con atto rogato dal notaio Lampugnano.
Memorie del Testamento Cogliati
Documento a stampa
  A titolo di legato lascia inoltre alla scuola del Santissimo Sacramento, eretta nella chiesa Prepositurale di Nerviano, terreni, vigne, casa e crediti, con l’obbligo di erogare, da parte del priore, una rendita in quattro parti di L. 60 imperiali per “maritare quattro povere zitelle di buona fama, timorate di Dio, che abbiano frequentato i Santissimi Sacramenti e dottrina cristiana, che siano intervenute alla processione ogni venerdì sera alla SS. Croce , da me fatta alzare, al principio della terra detto il Molinolo del luogo di Nerviano”, con l’obbligo alle stesse di sposarsi all’altare dello sposalizio della Beata Vergine da lui fatto erigere, di crescere i figli nel Timor di Dio, e di ricordarlo infine nelle orazioni.
  Un altro lascito fu fatto a titolo di legato alla cappella della Beata Vergine Annunciata di nuova costruzione. Comprendeva un credito di lire 2000 imperiali vantato nei confronti del Dott. Francesco d’Adda, a patto che il suddetto denaro venisse impiegato per mantenere l’olio della lampada presente in chiesa, ogni sabato e tutte le feste in perpetuo, e supplicando il Preposto e il Conte Prospero Crivelli di assolvere l’amministrazione di queste sue ultime volontà.
  Tra le altre opere in favore della comunità di Nerviano troviamo un atto del 1656 circa un prestito di 6600 lire imperiali, dai cui frutti il Cogliati dispone e ordina, sempre nel suo testamento, che la comunità paghi scolastico e organista.
  Non mancarono lasciti a favore di una nipote suora, per un nipote destinato al sacerdozio, per amici e conoscenti con figlie da maritare, per la serva Maria e per il servo Pietro Buttiro.
 Nel detto testamento il Gaspare nomina erede universale ed esecutore testamentario il Molto Reverendo Signore Marc’Antonio Cogliati canonico di San Babila, suo nipote, figlio del fratello Giuseppe.

La Croce
Sicuramente a Nerviano tutti conoscono la Croce eretta ora nella piazzetta omonima tra l’altrettanto omonima Via della Croce e Piazza della Vittoria. Sul basamento si trova ancora oggi l’iscrizione “GASPAR COLIATUS – ANNO 1676 – EREXIT“ che immortala il nome del personaggio narrato in queste righe, il quale presumibilmente volle erigere questo manufatto a ricordo perpetuo della peste del 1630.
Particolare della Croce Stazionale
  La croce in ferro battuto di buona fattura, posta su piattaforma quadrata, innalzata su colonna granitica a sezione circolare con terminale e basamento granitico a sezione quadrata, rispecchia la forma tradizionale delle croci erette nel periodo successivo alla peste al fine di ricordare quel terribile avvenimento e a somiglianza di quelle fatte erigere da san Carlo Borromeo a memoria della la peste del 1576. Probabilmente non è un caso che l’innalzamento della Croce nervianese coincida con il centesimo anniversario di quei fatti.
  Questi monumenti sono largamente diffusi nella nostra Diocesi Ambrosiana e appartengono più o meno tutte a quel periodo storico. Nella nostra zona le troviamo presso: Furato, Inveruno, Rho, Vittuone, Buscate, Castelletto di Cuggiono, Ponte Vecchio di Magenta, Boffalora, Tornavento, Velate. Di solito sono poste in piazzette o all'ingresso dei paesi, sulle strade principali quasi a simboleggiare la protezione divina del centro abitato dalle epidemie.
  La nostra Croce è costituita da un telaio con riempimento a riccioli fissati con fascette; un nucleo centrale ad anello con quattro raggi fiammeggianti a 45 gradi che intendono simboleggiare la luce propagata dal sole; al centro sono presenti i tre chiodi della santa Croce che rafforzano l’iconografia della Passione di Cristo. Sulle croci urbane dello stesso periodo questi simboli sono ricorrenti. Particolare è la croce di Furato di semplice fattura, tuttavia riporta la simbologia completa della Passione, ossia tutti quegli elementi narrati nei vangeli sulla via verso Calvario: Scala, lancia, spugna, chiodi, tenaglia, martello, corona, targa.
  Purtroppo, non essendo presenti documenti esaustivi circa la costruzione, non possiamo attribuire una paternità all'opera. Tuttavia si potrebbe azzardare l’ipotesi che ci sia una relazione molto stretta tra la Croce ferrea e la famiglia dei Cogliati fabbri ferrai presente in Nerviano già prima della peste del 1630.
1931 - Fotografia storica
Rimozione della Croce Stazionale dalla
sua sede d'origine.
  Un’altra ipotesi potrebbe essere quella che questa Croce sia la stessa che venne posta al centro del Lazzaretto e benedetta dal Prevosto Francesco Sonnio il 15 agosto 1630, nel massimo periodo di diffusione del tragico morbo, e che abbia subìto un successivo ammodernamento della struttura o delle decorazioni ferree in occasione del centenario della Peste di San Carlo. A riguardo, dalle memorie autografe di Agostino Terzaghi (Prevosto di Nerviano dal 1636 al 1667), risulta l’erezione di una Croce per sua volontà, probabilmente la stessa descritta, “nel solenne giorno dell’Epifania dell’anno 1640”, in principio di Nerviano verso la Zancona, e benedetta con la presenza di tutto il popolo nervianese e della Cassina del Pe’, istituendo inoltre il venerdì come giorno di venerazione della detta croce e posta quindi a ricordo e a protezione dei nervianesi da altre epidemie”.
  Stando alle descrizioni lasciateci dal Terzaghi, la posizione originale di questo monumento doveva coincidere con l’inizio dell’attuale viale Villoresi (nella parte bassa), probabilmente sorretta solamente dal basamento costituito dalla piattaforma attuale. È probabile, anche se purtroppo non abbiamo una valida documentazione, che solo in un secondo momento, nel 1676, la Croce sia stata elevata sull’attuale colonna per volontà ed opera di Gaspare Cogliati.  Un’ipotesi vagamente desumibile dalle parole “da me fatta alzare” presenti nel suo testamento.
  La Croce rimase in quel luogo fino a quando, nel 1931, l’autorità comunale con parere della sovrintendenza dei monumenti (ricordiamolo, in pieno regime fascista) attuò un piano di riorganizzazione di quel tratto di centro urbano, demolendo parte del fabbricato Belloni e allargando via della Croce. La Croce venne, smontata e ricostruita nella sede attuale, su un appezzamento di proprietà della famiglia Piazzi ritenuto idoneo sia per la vicinanza con la posizione originale, sia per mantenere coerente la denominazione dell’omonima via adiacente. 

Aldo Bosotti
con la collaborazione di tutto il Gruppo Pro Memoria
                                                                                                                                                             
Si ringrazia il Parroco Don Claudio Maria Colombo per l’autorizzazione e l’accesso ai documenti dell’Archivio parrocchiale di Nerviano.



© RIPRODUZIONE RISERVATA 
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giovedì 10 ottobre 2019

IPOTESI SULLA SALA DETTA "DE PROFUNDIS"

Una delle ipotesi più interessanti, e a cui si auspica in futuro un più approfondito e valido studio, potrebbe essere quella della presenza, nel monastero degli Olivetani di Nerviano, di una sala detta "De Profundis" che richiamerebbe per analogia ed omonimia una sala presente nel senese Monastero di Monte Oliveto Maggiore. Il nome rievoca l'incipit del salmo 129 (130) che nella liturgia cattolica, da sempre, viene utilizzato per la commemorazione dei defunti.
Si tratta di un piccolo locale, anomalo rispetto a tutti gli altri ambienti del monastero per fattezza e dimensioni. Esso è posizionato tra la chiesa e probabilmente la sacrestia - o comunque quello che poteva essere il locale più vicino all'edificio di culto. Attualmente è sede dell'ufficio di direzione della Biblioteca comunale.
Lunetta raffigurante Cristo nell'iconografia dell'Ecce Homo
Monastero degli Olivetani di Nerviano
All'interno di questo locale è possibile ammirare due affreschi significativi. Il primo è un volto di Cristo posto in una lunetta sopra la porta d'ingresso. Tale rappresentazione è identificabile con l'iconografia dell'Ecce Homo, un tema pittorico che ha avuto molta fortuna nel periodo rinascimentale e dunque coevo agli anni più floridi della presenza cenobitica in Nerviano. L'immagine ci presenta un Cristo sofferente e martoriato dai segni delle percosse, incoronato di spine e, anche se l'affresco è mutilo, si intravede un accenno di quello che doveva essere lo "scettro di canna" citato nelle narrazioni evangeliche. Probabilmente nella sua integrità doveva essere ben visibile anche il mezzo busto del Cristo avvolto da un mantello rosso. Questa simbologia richiama inequivocabilmente il passo del Vangelo di Giovanni 19 nel quale sono raccontati i momenti cruenti della flagellazione e dell'umiliazione pubblica del Cristo ad opera del Governatore romano Ponzio Pilato: il Cristo infine, rivestito per scherno degli emblemi regali viene presentato alla folla da Pilato con la celebre frase: "Ecco l'uomo".
Planimetria parziale del Monastero
di Monte Oliveto Maggiore (Siena)
Ben visibile a lato della chiesa la Sala "De Profundis"
Questo affresco oltre a riportare visivamente i passi evangelici di Giovanni, presenta tutti quegli aspetti spirituali della dimensione cristologica concepita agli inizi del secolo XVI. Una dimensione inedita rispetto alla visione trionfalistica alto medioevale e primitiva, dove l'accento - anche nell'iconografia - era rivolto all'immagine del Cristo risorto e benedicente, assiso e trionfante nella gloria celeste. Di riflesso anche la visione dell'esistenza si orientava nell'immagine positiva dell'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio e quindi orientata più agli aspetti trascendentali, teologici ed ideali della agostiniana perfezione divina. Il male era inteso come privazione e separazione da questa perfezione, a cui l'uomo doveva costantemente far fronte con l'esercizio della volontà, attraverso la ricerca del bene interiore per mezzo della grazia e della fede. Con la teologia tardo medioevale, che ha visto anche in diverse abbazie una grande vivacità intellettuale e grandi dispute filosofiche, l'accento si sposta sulla dimensione umana del Cristo, la quale si avvicina alla più evidente e terrena concezione antropologica della sofferenza umana. "Dai secoli XII-XIII in poi Gesù è sempre più il Cristo della Passione, della Flagellazione, dell'oltraggio, della crocifissione, della pietà. Per uno sconvolgente arrovesciamento delle immagini l'uomo che soffre per eccellenza è ormai il Dio dell'Incarnazione, il Cristo. E l'immagine che emerge nel secolo XV è quella di Gesù col mantello di porpora e la corona di spine della derisione, come Pilato lo mostra alla folla, dicendo: "Ecce Homo". Quest'uomo di un momento eccezionale della storia umana è ormai la figura simbolica dell'uomo sofferente, umiliato, ma divino."[1]. Il male fisico dell'uomo si identifica nell'immagine stessa del Cristo sofferente nella prospettiva del riscatto finale dato dalla risurrezione.
Lunetta con affresco presso l'ipotetica Sala "De Profundis"
Monastero degli Olivetani di Nerviano
L'altra immagine presente in questa sala è bene visibile in una lunetta del soffitto a volta. Pur non avendo al momento un'iconografia di riferimento, è possibile ipotizzare che si possa trattare di una rappresentazione allegorica del viaggio umano verso la Gerusalemme celeste. L'immagine infatti è eloquente nei soggetti rappresentati: una città fortificata con le sue mura, una strada tortuosa ed infine un monaco, con fagotto in spalla, che si dirige verso l'ingresso della città.
Infine anche il medaglione circolare posto sopra la lunetta rievoca l'immagine della fenice già rappresentata (e ben visibile ancora oggi) nella prima cappella a sinistra della chiesa. Tale successione simbolica sembra mettere in evidenza ancora una volta quell'ideale pellegrinaggio monastico improntato sulla ricerca costante della contemplazione divina e che sin dal principio - l'ingresso della chiesa è allegorico dell'iniziazione alla vita cristiana - è orientato alla rinascita ad una nuova vita.
Planimetria - piano terra - Monastero Olivetani Nerviano
Ipotesi collocazione Sala "De Profundis"
Sia l'immagine del Cristo, sia quella del monaco viandante in cammino verso la Gerusalemme celeste, sia quella della fenice, ci portano alla dimensione marcatamente intimistica che in questa sala si respira. Sappiamo che analogamente esiste ancora oggi presso il Monastero di Monte Maggiore una sala, molto più grande ed estesa della nostra nervianese, dedicata alla veglia funebre e al ricordo dei monaci defunti. È possibile che anche questa che ci si presenta in Nerviano a suo tempo potesse essere legata alle pratiche esequiali dei monaci defunti, ma anche di chi scelse (come ci è dato sapere), tra i privilegiati del tempo, di trovare sepoltura tra queste mura. La posizione prospiciente ai sepolcri presenti sotto la navata della chiesa sembra parimenti rimarcare una simbolica ultima sosta prima di essere consegnati definitivamente alla terra.

Stefano Delfi
da Appunti sul Monastero degli Olivetani di Nerviano, 2019, Parresia, pp. 15-16

Foto: Paolo Musazzi


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[1] Jacques Le Goff, L’uomo medievale, 1993, Laterza, pp. 6-7

ANTICA PIEVE


Articoli


Persone legate alla storia della Pieve

mercoledì 9 ottobre 2019

NERVIANO 1761: LA VISITA DEL CARDINALE POZZOBONELLI


 L’archivio Prepositurale di Nerviano è ricco di documenti, relazioni ed annotazioni che ci permettono di aprire una finestra sul passato e di cogliere alcuni momenti interessanti della vita di questa comunità.
            È possibile quindi, grazie al materiale conservato, togliere la polvere dei secoli e rivivere spicchi di Storia, come accade con il documento riportato in seguito, che è possibile leggere nella sua quasi completa integrità – inalterato nella punteggiatura e nella sintassi del tempo – la descrizione della visita pastorale effettuata alla pieve di Nerviano, nel 1761, dal Cardinale Arcivescovo di Milano Giuseppe Pozzobonelli.
Ritratto del Cardinale Pozzobonelli
conservato presso la Chiesa Parrochciale di Arluno
            Giuseppe Pozzobonelli (1696 – 1783), figlio di Francesco, marchese e feudatario di Arluno, era uomo di cultura e di alto rigore morale. Si trovò a gestire questo importante incarico durante il regno di Maria Teresa d’Asburgo imperatrice d’Austria, e poi del figlio Giuseppe II. Gli Asburgo furono i primi ad intraprendere una serie di riforme volte a rafforzare l’autorità dello Stato contro i poteri della nobiltà e della Chiesa, aprendo il periodo del “dispotismo illuminato”, che si distinse, tra l’altro per una violenta polemica contro gli ordini religiosi e, in particolare, contro i Gesuiti. Il vescovo si trovò così, a gestire e a tentare di arginare la radicalità di questi cambiamenti e, oltre a svolgere un’opera di mediazione tra il Papa e la corte di Vienna, decise di rendere più sistematiche le visite pastorali e di effettuarle in prima persona. Era necessario, infatti, riaffermare l’autorevolezza della Chiesa, incoraggiare il fervore religioso e richiamare tutti a una partecipazione consapevole ai valori più autentici del cristianesimo. Il suo impegno infaticabile, volto alla realizzazione di questi obiettivi, fu lodato anche da Giuseppe Parini che gli dedicò alcuni componimenti poetici.
           A Nerviano – a quel tempo – era Prevosto Carlo Giuseppe Lampugnani (1700 – 1766), già coadiutore nel nostro paese. Nell’archivio parrocchiale sono conservate alcune sue memorie che ci permettono di ricostruire l’opera pastorale da lui svolta a favore della comunità: cercò, innanzitutto, di sistemare i conti della parrocchia e fu il primo a redigere un elenco dei Prevosti che l’avevano preceduto e a provvedere a una rigorosa rendicontazione di tutti gli avvenimenti più significativi di cui fu testimone.
            Grazie alla sua meticolosità, abbiamo un ampio resoconto, sotto forma di diario, dei giorni della visita pastorale e queste minuziose e preziose annotazioni ci permettono di individuare consuetudini e tradizioni rimaste inalterate nei secoli, sino ai nostri giorni.
            Due parole sulla funzione delle visite pastorali, che già San Pietro e San Paolo ritenevano un fondamento del ministero sacerdotale: esse furono rese obbligatorie ogni due anni dal Concilio di Trento (1563) e considerate un dovere personale del Vescovo. Durante queste visite si effettuavano controlli che, in particolare, riguardavano il rispetto delle normative sulla dottrina, la difesa dei buoni costumi, l’esame degli edifici ecclesiastici, la condotta dei sacerdoti e dei laici e, in generale, le caratteristiche morali, sociali ed economiche del territorio. Al termine della visita si adottavano i “decreta” cioè dei provvedimenti a cui i parroci dovevano rigorosamente attenersi. Il primo ad uniformarsi a queste direttive fu San Carlo Borromeo. L’archivio prepositurale conserva le relazioni e i “decreta” di entrambe le visite da lui compiute.
            Per orientarci nei luoghi menzionati dal Prevosto Lampugnani, è necessario fare riferimento alla prima mappa di Nerviano redatta, nel 1730, dagli agrimentori inviati da Maria Teresa d’Austria. Da questa si evince la struttura del paese trent’anni prima della visita e gli eventuali cambiamenti in questo lasso di tempo non potevano essere tali da incidere sulla struttura del paese. Sull’attuale strada del Sempione vi era la sola presenza della Zancona e scendendo lungo l’odierno Viale Villoresi, le prime abitazioni sorgevano intorno a Piazza della Croce (la Croce del Molinolo, eretta in ricordo della peste del 1630) ed è lì che fu posta la prima porta trionfale, in corrispondenza della quale il Cardinale Pozzobonelli smonta dalla carrozza. Il “Cantone dell’Osteria” dove fu posizionata la seconda porta trionfale è identificabile con l’angolo di via Prepositurale, al tempo l’unico accesso verso la parrocchia per chi proveniva dalla Piazza Grande. La chiesa Prepositurale più volte menzionata nella “memoria”, non è quella attuale, me era una costruzione definita “vetusta” già in una bolla del 1189. Questa antica chiesa di impianto romanico – che fu poi demolita nel 1834 – era situata in corrispondenza dell’entrata dell’Oratorio Maschile ed il fronte collocato all’incirca all’altezza dell’ingresso della casa parrocchiale. Il cimitero la cingeva sul lato dove attualmente si trova la chiesa attuale.

Paolo Musazzi


Memoria della visita pastorale della Pieve di Nerviano seguita nell’anno 1761*

L’eminentissimo Signor Cardinale Arcivescovo Dominus Giuseppe Pozzobonelli à cominciata esta visita nel dì 17 Aprile 1761, ed à terminata il di 27 dello stesso Mese.
Nel doppo pranso del detto di 17 verso le ore 22 è gionto in Nerviano. È stato ricevuto con solenne Processione alla Croce detta di Molinolo. Lo ànno servito di Baldacchino i Signori Compadroni del Luogo.
Nell’entrata è stato salutato con salva di mortaletti, e accompagnato con suoni di Trombe e Sinfonia. Alla Croce del Molinolo dove è smontato, vi fu alzata una porta trionfale con Iscrizione.
Alla porta trionfale fu eretta al Cantone dell’Osteria con altra iscrizione. La spesa di dette due Porte come altresi delle Trombe e de’ Mortaretti e ‘stata fatta dalla Communità. Il rimanente andò a spese della chiesa.
Alle colonnette che chiudono il Cemetero della Prepositurale fu costrutta altra porta trionfale a spesa della Chiesa con questa iscrizione:
Principi, Presuli, Patri
Obsequium, obedientiam, amorem
Fabrice Prefecti
La Chiesa era parata con tale magnificenza e Simetria che meritò l’ammirazione dello Stesso Eminentissimo.
In tutti i giorni della Visita, toltine gli ultimi due ne’ quali si fermò in Sarono, abitò e pranzò l’Eminentissimo nella Casa Prepositurale nel piccolo quarto, che sta a fianco del Cemetero.
Ebbe Seco in tutto il tempo della Visita un Vescovo titolare cioè Mons …Marino Vescovo di […], quale ogni mattina amministro la Cresima ai Popoli della Pieve, qua venuti processionalmente. Detto Vescovo fu alloggiato alloggiato nella Casa del Nobile Signor Crivelli della Croce, ed aveva seco un solo Staffiere.
Monsignor Rocco Lonati col suo servitore ebbe il Letto in casa del Nobile Signor Abbate Antonio Crivelli detto degli Eredi.
Erano coll’Arcivescovo, il Cerimoniere della Metropolitana il Cancelliere della Visita Signor Dottore Agulio. Il suo Segretario, il Caudatario, il Prefetto degli Ostiarii, un Cameriere, due Cocchieri, un Mulattiere, tre Staffieri ed un Facchino. Tutti questi dormivano nelle due Case suddette, toltone il Cameriere, al quale fu messo Letto dentro un Cassettone nell’Anticamera del Padrone, che dormì nella Stanzetta sopra la Porta.
L’Arcivescovo mangiò sempre col Vescovo e Visitatore ed una sol volta tenne nella sua Tavola il Preposto del Luogo, ed il Cerimoniere.
Nel dì 19, Domenica fece la Visita di questa Chiesa Prepositurale ed assistette alla Scuola della Dottrina Cristiana nella quale fece varii quesiti ed interrogazioni a molti Maschi e Femmine; doppo di che volle l’Arcivescovo che il Preposto del Luogo alla di Lui presenza facesse il Discorso al Popolo. Lo Stesso Discorso toccò al Preposto di fare in occasione della visita delle due Parrocchiali di Leinate e di Barbajana.
Nelle altre Parrocchiali ragionò al Popolo lo stesso Arcivescovo.
Nella detta Domenica,nel essere la terza del Mese, si fece la solita Ostensione del Santissimo Sagramento. L’Arcivescovo dopo aver sentite in Confessionale alcune Confessioni nello spazio di un’ora, celebrò: poi si fece la Processione, nella quale fu portato il Venerabile dal Preposto del Luogo, assisitito nell’Officio di Diacono e Suddiacono dal Signor Curato di San Fermo di Milano Cancelliere della Visita e dal Signor Curato di Leinate più o meno doppo il Baldacchino tenuto questa volta da Scolari Rossi, seguiva l’Arcivescovo con candela in mano; quale doppo Processione si parò di Piviale, e conpartì al Popolo la Benedizione col Santissimo Sacramento.
Nel dì 25, Sabbato, fu tenuta la Congregazione Generale del Clero. Si celebrò l’Officio da Requie: cantò Messa Monsignor Visitatore: il Preposito del Luogo fece il Sermone, avendo preso per tema le parole di Giobbe. Visitatio tua custodivit Spiritum.
Doppo il sermone s’intimò al Popolo l’Extra omnes, rimanendo in Chiesa il solo Clero, dal quale furono esclusi i Soli attestati: indi si fece la proposizione, discussione e decisione de’ casi; e tutto terminò con una breve esortazione dell’Arcivescovo al Clero.
Doppo pranzo l’Eminentissimo partì per Sarono, passò la Cassina della Pertusella dipendente dalla Parrocchiale di Carono, e fece visita di quell’Oratorio.

* Archivio Parrocchia Santo Stefano Nerviano, Miscellanea cart.2, fasc. 1, liber cronicon 1. Trascrizione (2018)


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mercoledì 20 marzo 2019

LA CHIESA DELLA BEATA VERGINE ANNUNCIATA "LA ROTONDINA"


Capita raramente di imbattersi in piccoli gioielli dell’architettura, così belli da essere degni di ben altra collocazione. Accade così per la chiesa dedicata alla Beata Vergine dell’Annunciata, chiamata in principio “la Madonnina” e che successivamente acquisì la denominazione popolare di “Rotondina”.
 “Uno scrigno prezioso per custodire una perla di grande valore: questo è la Rotondina” . Con queste parole nel 1977, Don Ugo Mocchetti, il tanto amato prevosto di Nerviano, descrive la chiesetta dopo la fine dei lavori di restauro  che aveva commissionato per salvarla dal degrado e dal disfacimento legati a numerosi decenni d’incuria.


Ma cos’è  “la perla” di grande valore che  è contenuta nella chiesetta? Si tratta di un affresco dell’Annunciata, che secondo Giorgio Re, storico di Nerviano, risale agli inizi del 1500. Questo affresco, in origine, si trovava su un’ambona di muro protetta da un’edicola posta nello slargo alla confluenza di quattro strade, di cui una diretta a Parabiago.
I documenti in nostro possesso non menzionano il nome dell’artista ma l’ipotesi più percorribile ci viene offerta sempre da Giorgio Re, che ha individuato l’autore in un pittore che ha lavorato nei luoghi di quello che è stato definito “filtratore e riduttore del Rinascimento”: Ambrogio da Fossano, detto il Bergognone, la cui opera ultima era ospitata nella poco discosta Chiesa di Maria Incoronata presso il  Monastero degli Olivetani. In forza di questa ipotesi  la mano che ha realizzato l’Annunciata della nostra Rotondina potrebbe essere quella di Bernardino De Rossi, la cui Nunziata raffigurata sulla facciata della chiesa di Sant’Eustorgio e Santa Maria a Vigano Certosino ricorda nei tratti e nella fattura la Vergine nervianese.
Questa immagine era oggetto di molta devozione  da parte della popolazione e per preservarla e proteggerla dal degrado, il prevosto Ambrogio Taggia nell’aprile del 1681 chiese alla Curia Arcivescovile di Milano il permesso di costruire una cappella campestre. L'incarico  di redigere il progetto  era stato  affidato, un anno prima, nel 1680 a Giuseppe Quadrio, ingegnere e architetto facente parte della famiglia  che in un periodo di poco successivo si occupò della costruzione di Sant’Ambrogio della Vittoria a Parabiago. A lui si deve il primo abbozzo della chiesetta dell’Annunciata  il cui disegno originale  è conservato, ancora , presso la Biblioteca Ambrosiana.  Di questo disegno colpisce soprattutto la struttura circolare che richiama espressioni architettoniche tipiche del 1600 Lombardo, quali la Rotonda di San Sebastiano a Milano  e l’oratorio dell’Immacolata al Sacro Cuore di Varese.
Probabilmente per il progettista questa forma assumeva anche una funzione simbolica  di apertura alla comunità e alla dimensione onnipresente della divinità. In particolare va rilevato che la chiesetta, proprio per rimarcare questi messaggi, presentava tre porte: due laterali di dimensione più ridotte (in seguito murate) e una centrale che si apre tuttora sullo spiazzo  ed è rivolta  verso Nerviano,  quasi a sottolineare la maggior rilevanza di questo paese.
Come è possibile osservare dalle mappe del Catasto Teresiano di inizio ‘700  la chiesa al tempo della sua erezione era situata proprio al limitare del centro abitato a poche decine di metri dall’edificio religioso più importante del territorio: il Monastero dei Padri Olivetani. Una posizione di presidio e di protezione del paese, verso l’aperta campagna, la cui funzione era avvalorata dalla particolare devozione che il dipinto murale suscitava già ben prima della costruzione del Santuario.
Il permesso della Curia arrivò  in tempi brevissimi rispetto alla richiesta fatta dal Taeggia: già il 12 luglio 1681 giungeva infatti la risposta positiva
Occorreva ora pensare ai finanziamenti che, visti i  tempi segnati dalle guerre legate alla successione spagnola, risultavano difficili da reperire. La Chiesa Prepositurale fu, per questo motivo, costretta a contrarre un prestito di 2050 pietre nel 1684. Proprio in quell’anno Gaspare Cogliati, Mastro ferraio di Nerviano - a cui si deve tra l’altro la Croce che ancora possiamo ammirare nella piazza omonima  per celebrare la fine della peste – destinò nel proprio testamento  un  consistente legato a beneficio della erigenda cappella.  La situazione migliorò al termine del 1600, quando il dominio spagnolo stava per finire e la Lombardia cominciava ad uscire dalla crisi economica che l’aveva travagliata.
Fu, infatti, creato un ”Conto della Madonna” destinato a raccogliere e a gestire le offerte dei fedeli, fra le quali spicca un lascito importante evoluto da  tale Giuseppe Re. La costruzione della chiesetta, almeno nella parte esterna, fu portata a termine nel 1696 e la fine dei lavori, (che si discostavano dal progetto iniziale per l’ampliamento dell’abside e per la costruzione di una sagrestia ) venne festeggiata con una solenne benedizione. Tre anni prima il reverendo Andrea Tellino aveva istituito una cappellania con l’obbligo  al titolare della Chiesa dell’Annunciata di celebrare una messa a settimana ed ulteriori 12 messe in un anno, oltre  che provvedere alla manutenzione degli arredi sacri. Per supportare tali spese aveva disposto che gli venisse affidata in dote una vigna di 25 pertiche. Questa disposizione, tuttavia, venne sempre più  rimaneggiata e ridotta nel corso degli anni. La chiesa in origine si presentava con una struttura di mattoni a vista che  inglobava il muro su cui era stata dipinta l’immagine della Vergine Immacolata. I finestroni della  cupola erano quattro contornati da  bordature in cotto. Il tetto era sormontato da un’elegante  lanterna intonacata su cui si aprivano altre quattro finestre. Sulla facciata si trovava un affresco dell’Annunciazione eseguito da un pittore anonimo in seguito ammaloratosi.
Sempre sul tetto venne eretto un campaniletto  a vela ospitante una campana in bronzo di pregiata fattura che risulta acquistata a Milano presso la basilica di San Simpliciano nel 1699. Sulla campana sono incise, infatti, la firma  del costruttore “Opus Antoni Varoli” e la data di costruzione 1588. Un  bassorilievo rappresenta in effigie una Madonna con bambino, un vescovo con il pastorale  e Crocefisso e una crocifissione. Si possono leggere anche le parole “Ave Maria Gracia Plena”. La campana è stata restaurata nel 2005.
Dall’inizio  del 1700   si provvide all’allestimento degli interni. È possibile ricostruire, grazie all’archivio della Prepositurale di Nerviano,  sia i lavori svolti che i nomi di alcuni abili e valenti artigiani che sono intervenuti, fra i quali il maestro vetraio Francesco Paleari, che  si occupò dei lavori relativi alle finestre, Calimero Marazzo che si occupò della stabilitura; Matteo Trecino eseguì a sua volta tutte le modanature in gesso della chiesa. Franco Rimoldi, altro valido studioso della storia di Nerviano,  attribuisce a quest’ultimo artigiano anche la scultura delle due statue anonime situate nelle nicchie di cui i vari documenti consultati non riportano l’autore in maniera ufficiale: ipotesi avvalorata dal fatto che sia per  le parti ornamentali che per  le statue è stato usato lo stesso tipo di materiale.  Nel 1725 fu forgiata una inferriata in ferro battuto da un fabbro legnanese – Oldrini – inferriata che però non è più presente da diversi decenni e che possiamo osservare in immagini d’epoca.
Dalla visita pastorale del 1740 risultano ad opera di un tale Luigi Savioni altri affreschi, ora scomparsi, che raffiguravano san Mamete ed un’Annunciazione. Una elegante balaustra in marmo broccadello  venne realizzata da Bernardo Giudice, piccapietra di Saltrio. Nel 1752, furono commissionate dall’abate Antonio Crivelli, con l’approvazione del prevosto Antonio Pessina delle decorazioni absidali al pittore Agrati al fine di ottenere una scenografia prospettica ; contemporaneamente vennero chiuse le due porte laterali e  due finestre della cupola. Più o meno nello stesso periodo la volta della sacrestia viene affrescata da un tale Belotti di Busto Arsizio.
Un documento interessante è quello relativo agli arredi della chiesetta. Andrea Tellino, infatti, nel 1713, elenca scrupolosamente tutti gli oggetti di cui è dotata la sua cappellania. Ancora adesso possiamo ammirare i mobili in noce all’interno della sacrestia ed in particolare in bellissimo canterano in cui  si trova lo stemma di questo primo cappellano.
Nello stesso armadio si conservano anche una croce di legno dorata del 1727 contenente le reliquie dei Santi Martiri Proba, Casto e Teofila e un reliquiario con le reliquie di Santa Esuperanzia, tutte autenticate dalla Curia.
Diversi interventi di restauro vennero eseguiti nel 1900, anche a seguito delle indicazioni post conciliari che portarono alla realizzazione della nuova mensa orientata verso il popolo. Il più importante è quello voluto dal Prevosto Don Ugo Mocchetti a partire dal 1972, nel corso del quale si sono eseguiti lavori di rifacimento del tetto e di consolidamento delle mura, ci sono stati interventi sulle crepe,  sono stati eliminati i cartelli  stradali che deturpavano la piccola chiesa Un nuovo portone d’ingresso in noce sormontato da un nuovo affresco che raffigura l’Annunciazione, opera di Mario Bogani, ha restituito dignità a questa piccola opera d’arte Tutte le parti decorative interne sono state restaurate.  La Rotondina è tornata a rifiorire grazie all’affetto e alla devozione che i Nervianesi hanno sempre dimostrato a questo  simbolo della comunità cristiana ma è importante che continui ad essere curata e preservata, anche come tributo verso chi, per oltre tre secoli, l’ha amorevolmente accudita. 

Paolo Musazzi
Sergio Parini

Si ringraziano Giorgio Re e Aldo Bosotti per le ricerche storiche

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OSTI E OSTERIE NELLA NERVIANO CHE FU


A me piacciono gli anfratti bui delle osterie dormienti, dove la gente culmina nell’eccesso del canto
Questi versi di Alda Merini sono uno splendido tributo a quei luoghi di ritrovo e di svago che un tempo erano immancabili, sia nel più sperduto paese, che nella grande città.
E  nel 1922  Nerviano di osterie era ricca, come si nota nella  Grande Pianta Generale del Borgo e Comunità di Nerviano” su cui Paolo Caccia Dominioni segnala “tutte le bettole e le botteghe o negozi di vino” del paese nativo: tavola che utilizzeremo come aiuto per fare un salto a ritroso nel tempo.
Il Conte ha 26 anni e, uscito dall’esperienza drammatica della prima guerra mondiale, è proiettato in un contesto sociale e politico che sta vivendo cambiamenti radicali: siamo infatti alla vigilia della marcia su Roma. 
Con tono volutamente spensierato e goliardico, quasi a prendere le distanze da quel momento storico di grande tensione, dedica il disegno a Don Filippo Piazzi e al Signor Eugenio Albè “vecchi amici di spugne imperiali”.  Questo intento canzonatorio è reso ancor più evidente dal fatto che nella tavola  spiccano, irriverenti, due stemmi;  il primo, al centro, è quello della città di Nerviano, percorsa tutt’intorno da un motto scherzoso  Fuit barbera studium” che non ammette dubbi riguardo al vino preferito dai tre amici e, si suppone, dai Nervianesi. Nel secondo, troviamo una bottiglia , sorretta da due leoni, sormontata da una corona nobiliare composta da cinque calici e circondata da un collare da cui pende un bicchiere di vino. Alla sua sinistra spicca lo stemma della casata  Caccia Dominioni con la corona a nove punte che indica il titolo di conte, alla sua destra  è posizionato lo stemma dei Piazzi. Le due famiglie allora più in vista di Nerviano sono dunque accomunate, in questo disegno, da un’allegra e nel contempo nobile passione  per il vino.
Passione condivisa, però, dalla stragrande maggioranza dei Nervianesi. Lungo l’asse principale del paese sono indicate, partendo dal Sempione e scendendo sino al Pasquè, con il simbolo di una coppa, ben 23 osterie. Oltre alla  precisa  ricostruzione  delle sagome delle chiese e dei palazzi nobiliari, spiccano tre simboli che indicano come la politica abbia fatto irruzione anche  nella statica comunità nervianese. Tre osterie, infatti, sono affiancate dal simbolo del partito di riferimento  lo scudo crociato, la falce e martello, i fasci littori. Il primo indica il partito popolare, fondato da Don Sturzo nel 1918,  il secondo il Partito Comunista, fondato da Gramsci nel gennaio del 1921, il terzo  il partito fascista, fondato a Roma nel novembre del 1921, come evoluzione del movimento dei fasci di combattimento. Tre osterie, dunque, sono diventate punto di ritrovo di persone che si riconoscono in precisi  e fortemente contrapposti obiettivi politici. Spiega Paolo Caccia Dominioni con evidente ironia: “Sono dove si beve per un alto ideale”. Un passo, avanti, comunque, rispetto all’immobilismo che ha caratterizzato per decenni la vita politica nervianese, ma sarà una breve parentesi, giacchè siamo alla vigilia della Marcia su Roma… Da notare che le tre sedi indicate non corrispondono minimamente a quelle che gli stessi partiti avranno come punto di riferimento negli anni successivi. I simpatizzanti di Mussolini, per esempio, non esistendo ancora la Casa del Fascio, avevano come punto di ritrovo l’osteria del “Rabiaa” - un nome che era tutto un programma - situata in corrispondenza dell’attuale Bar Stazione.
Ma cerchiamo di capire  la realtà di quel periodo, con l’intento di non mitizzare troppo il tempo passato:  l’economia di Nerviano  negli anni ’20 era ancora essenzialmente agricola i I lavori più praticati erano quelli del paisan e del carrettee. La maggior parte dei contadini, lavorava terre  di proprietà dei possidenti della zona, quindi erano fitaol (fittavoli). Molti giovani, in bicicletta, si recavano a Milano per fare i magutt. Nelle case piccole e malsane mancava l’acqua corrente, l’elettricità era un lusso per pochi e il riscaldamento lo si otteneva col camino e la stufa a legna e carbone e per risparmiare il combustibile alla sera le famiglie si riunivano nella stalla per riscaldarsi al tepore delle bestie. Parliamo di un’epoca, chiaramente,  in cui i divertimenti erano pochi…
Quando gli uomini tornavano a casa stanchi, sfiniti dal lavoro, cosa rimaneva se non spendere le serate nell’unica consolazione che una vita grama poteva dare? Si andava quindi all’osteria e si annegavano pensieri e dispiaceri nel vino a cui  una credenza diffusa attribuiva  effetti corroboranti.
Non va sottovalutato inoltre il fatto che il consumo di alcolici era vissuto anche come una importante forma di aggregazione sociale. I paisan, infatti, guardavano con benevolenza e con una certa dose d’ammirazione chi riusciva a scolare più tazze di vino, anzi,  a volte si svolgevano vere e proprie sfide  a suon di quartini e di mezzi litri. Le uniche a lamentarsi per queste abitudini maschili erano le madri e le mogli che si trovavano a gestire le conseguenze, sempre spiacevoli, dell’ubriacatura…
All’osteria però non si andava solo per bere, ma anche per giocare, per farsi raccontare le novità del paese, per concludere affari.
In un mobiletto si trovavano i mazzi di carte con cui gli avventori giocavano a scopa, a scopone scientifico, alla marianna, a briscola, segnando i punti su apposite lavagnette. Due coppie si fronteggiavano  e ogni mezzo era lecito pur di vincere la partita: il tutto condito da contestazioni, urla, ingiurie più o meno colorite. Poi , vinti e vincitori si consolavano  o esultavano con una immancabile bevuta.
I marossee (mediatori di bestiame) aspettavano il momento in cui i contadini, rintronati dal vino generosamente offerto, erano disposti a vendere le loro bestie senza discutere troppo sul prezzo.
Poco prima della chiusura, trattandosi di una pratica vietata, si giocava alla morra  e i locali annebbiati dal fumo e impregnati dagli effluvi del vino, del sudore , del tabacco risuonavano di quatar, cenq , mura, con il consueto accompagnamento di incitamenti e recriminazioni che, a volte, sfociavano in vere e proprie risse
Col suo piccolo saggio “La vita a Nerviano”, Giuseppina Colombo ci aiutr a  ricordare alcune tra le più note osterie nervianesi del passato. In particolare in Viale Villoresi si trovava “Il Trani” del Pepin Di Marzo: questa mescita doveva il suo nome al luogo di nascita del proprietario, che ricordiamo anche come il primo meridionale che si stabilì a Nerviano (per la gioia di tanti bevitori…).
Molti furono i pugliesi, infatti, che in seguito alla guerra doganale con la Francia, iniziarono ad aprire locali a Milano e nei dintorni, vendendo vino molto alcolico a prezzi decisamente contenuti.  (Chi non ricorda la canzone di Gaber, Trani a gogo?)            
Nell’attuale Piazza Italia  Piazza Granda”, in corrispondenza con la Cremeria, si poteva frequentare “l’osteria della Polvara” che, in seguito acquistata dal maniscalco che aveva la sua officina lì vicino, venne ribattezzata “Osteria del Cavallino
Il Circulon era il luogo di ritrovo dei contadini che facevano parte della Cooperativa Sant’Isidoro. Ora, di questa osteria situata in via Rondanini, all’angolo della Streccia di Boldoritt, non è rimasta più alcuna traccia. A questo grande locale, a forma di L si accedeva direttamente dalla strada . Piero Dellavedova in “Luci e ombre di Nerviano” descrive  il suo interno: il bancone della mescita in noce massiccio, con bottiglioni di vino dozzinale, gli specchi con la pubblicità alle pareti, il mobile alle spalle dell’oste su cui erano disposti in ordine scrupoloso al litar, al mezz litar, al quart, al quarten, con tanto di timbro governativo che ne garantiva la quantità.
Gli avventori sedevano su sedie impagliate disposte intorno a tavoloni di legno. Sparse per il locale si trovavano le mitiche sputacchiere, in quanto un cartello vietava tassativamente di sputare in terra. Era vietato anche bestemmiare e giocare a morra. Ma tutti e tre i divieti erano abitualmente disattesi...
Un’altra mescita molto frequentata era quella della “Pesa”, in Piazza Olona. Qui c’era la pesa pubblica dove  venivano pesati animali e merci e, accanto, una piccola edicola di giornali. 
In via Lazzaretto si trovava invece “La trattoria dell’Olona” gestita dalla Brama e dal Rico, chiamati i piemontes, perché servivano  vini provenienti da quella regione.
All’imbocco del Viale Villoresi si trovava il Gioann Tabacchee: il locale, che, gestito da Ceriani Giovanni passerà successivamente al figlio Gini nella sua bivalente specializzazione di osteria/tabaccheria, dava una sorta di abbrivio a chi, in particolare vena (alcolica) decideva di iniziare il giro delle bettole! Dall’altra parte del Sempione, all’angolo di via IV Novembre, “Al Bigio” al secolo “Ristorante Zancona”, che in origine era un’antica stazione di posta per cavalli, funzione poi decaduta quando il servizio di trasporto lungo la Strada Statale venne assicurato dal tram. Successivamente questa locanda divenne nota come “La Grotta Azzurra”, celebre in quanto vi si svolgevano serate danzanti, oltre naturalmente a garantire il mantenimento dell’umidità della gola…
Andando verso Legnano si incontrava poi la “Locanda Vegia dal Sciatell”, che era meglio nota per altri “articoli” più che per la vendita del vino…
E fin qui il Capoluogo: ma le Frazioni?  Ovviamente fiaschetterie, osterie, locande e trattorie costellavano il territorio e presidiavano le strade più frequentate, senza lasciare però sguarnite le cascine isolate. Ecco allora che percorrendo Via Garibaldi, entrando in S. Ilario, si incontrava la fiaschetteria Colombo, seguita poco più avanti dal Pivatt e dall’osteria/tabaccheria del Chilu Tabacchee e poi il Bar Centrale. Una caratteristica particolare consisteva in una sorta di osterie autarchiche che sorgevano in diversi cortili della Cassina dal pè  che funzionavano in maniera singolare, ovvero quasi come dei ritrovi o dei circoli, ma che garantivano  - come i locali “ufficiali” – la fornitura del nettare di Bacco.
Alla Garbatola la presenza della Trattoria San Francesco - gestita dalla famiglia Leva – e del Circolo, evitava  di lasciare i paisan senza vino, mentre a Villanova il Circolino non esisteva ancora (non dimentichiamoci che nel nostro viaggio a ritroso nel tempo ci siamo fermati nel 1922…) quindi ci si doveva arrangiare diversamente… Un’osteria non mancava neppure a Costa San Lorenzo: la Genoeffa…
E Cantone? Non ce ne siamo dimenticati, assolutamente! Con un poco di poesia chiudiamo questo “amarcord” proprio con l’Osteria Vighignoeu perché la possiamo definire l’ultima osteria, l’ultimo locale in cui - a Nerviano – si ritrovano ancora sensazioni, battute e… bevute degne dei tempi andati. La storia del “Vighi” (come viene chiemato oggi…) risale agli ultimi anni dell’800, quando il Tognen, proveniente da Vighignolo, mette in piedi una baracca per la mescita del vino all’inizio di Via Torino… il nome col quale era conosciuta la bettola era “La Gabana”: ogni commento è superfluo.  Il Tognen, che non aveva figli, tenne con sé un nipote, Angelo, figlio della sorella che doveva badare ad altri sette figli e a lui lasciò poi l’attività. Attività che a quanto pare il giovanotto fece fruttare, visto che nel 1910 costruì l’edificio che ancora oggi ospita l’osteria… Poi la ruota gira, dopo Angelo il figlio Gioann con la moglie Pasquina e il Vighignoeu è arrivato sino ai nostri giorni, grazie all’indimenticabile Livia e all’inossidabile Angelo: l’ultimo oste di Nerviano.

Paolo Musazzi
Sergio Parini
Si ringraziano per la preziosa collaborazione Sergio Banfi “Tabacchee” e Angelo Cucchi “Oste”

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